Ma che cavolo io, mi dico subito dopo! Quanti servizi di Striscia hanno denunciato falsi dentisti, o sedicenti medici marpioni che curavano il cancro col pendolino ed erano tutti del Nord? Perché, allora, quella considerazione? Me ne viene in mente un'altra. L'anno scorso mi hanno rubato la macchina, con tanto di satellitare installato. L'avevo assicurata contro il furto con una Compagnia convenzionata con il servizio, pagando il premio meno della metà. Quando ho dovuto preparare tutti i documenti per il risarcimento, mi sono accorta che l'ufficio sinistri che mi avrebbe dovuto liquidare aveva sede a Napoli. E ho cominciato a sudare freddo: i miei soldi non li avrei mai rivisti... Ho inviato il tutto a Napoli e... dopo 10 giorni mi spediscono l'assegno! Perché mi è sembrato tanto anomalo? Perché me ne sono meravigliata tanto? Perché... Napule è?
Eppure con Napoli, e i napoletani, ho un rapporto d'amore del tutto speciale. La prima cotta, quella che ti prendeva alla pancia e ti faceva sentire strana, l'ho presa per un bellissimo ragazzo di Napoli, Massimo M.: io avevo 15 anni e lui 19. E non mi si filava di pezza... Ero una gnappetta di un metro e cinquantacinque (ma poi sono cresciuta di altri 5 centimetri, eh...), piatta sul davanti e sul didietro come una tavola da stiro, e a lui piaceva invece una stangona di 18 anni, 1 metro e settanta, con due poppe e un sedere da sballo, e due gambe lunghe che... vabbe', stendiamo un velo pietoso... E poi all'Università: Napoli e le sue canzoni.
C'era un esame che volevo sostenere, Storia delle Tradizioni Popolari, per il quale volevo sviluppare una mia tesi: che le canzoni napoletane, quelle che conosciamo e cantiamo, sino a Tammurriata nera, potessero rientrare in quella tradizione popolare (nonostante la caratteristica dei canti popolari sia, per definizione, l'anonimato dell'autore e la loro trasmissione orale). Mission impossible! Il professore però era interessato, ma mi propose un do ut des: dovevo inserire l'esame come biennale nel piano di studi, anche se di solito, considerato un esame facile, lo si infilava nel mucchio tanto per rimpinguarlo. Affare fatto!
Al primo esame, 30 e al secondo, con lo sviluppo della tesina indimostrabile, 30 e lode! E per mesi mi sono fatta coccolare dalla musica, dalle parole e dalle suggestioni di quelle canzoni: le cantavo in macchina a squarciagola, sovrastando con le mie stecche sia il concerto live di Massimo Ranieri al Sistina, che la collezione Napoletana, dell'inarrivabile Roberto Murolo, dieci 33 giri, duplicati in cassetta.
Qualche anno dopo, ancora Napoli e i napoletani: single, facevo campeggio in tenda e da sola al Lido di Fondi, tra Terracina e Sperlonga. Tazzone di latte e caffè la mattina, poi in spiaggia, dalle 9 alle 7 di sera quando, rientrata alla magione, mi strafogavo 2 etti e mezzo di cannolicchi Barilla al pomodoro e basilico da mangiare col cucchiaio. Ero una lucertola: unica deroga, il bicchiere di granita alla menta di Ciro, napoletano, che passava sulla battigia col suo carrettino del ghiaccio e degli sciroppi verso le 2 del pomeriggio. Se dormivo, faceva una buchetta vicino al mio asciugamano e me lo laciava in fresco: avrei pagato al suo ritorno, o il giorno dopo...
E al campeggio c'era anche Anna, napoletana: mega-tenda con veranda, frigorifero, fornello a 6 fuochi, l'amaca, e chi più ne ha più ne metta! Per suo marito e i due figli, iniziava a cucinare alle 8 di mattina: e io, mentre bevevo il cappuccio, sentivo nelle narici il profumo delle sue grigliate e dei suoi sughi...
Non ha resistito più di tre giorni, Anna: "Signuri', si avite famm', ve lo dongh'i', o' mangiare! Ve facite male, accussì! Nun è bbuono 'stò diggiuno!" Valle a spiegare che stavo benissimo così, e che non avevo desiderio di mangiare... Fatica sprecata. Spesso, la sera, al mio rientro in tenda, trovavo sul mio traballante tavolino un piatto, accuratamente riparato da una pellicola trasparente, pieno delle sue melanzane o dei peperoni grigliati cui aggiungeva, a freddo, olio, basilico e spicchi d'aglio spaccati! Erano coccole, e non un banale ristoro per il mio stomaco vuoto!
Mi domando allora, a distanza di secoli, perché, se Napoli e i napoletani per me furono (e sono ancora) tutto questo, perché - porca vacca! - me ne sono uscita in quel modo? Assuefazione imbecille e passiva del mio cervello alla ricezione di input esterni? Forse. La mia mente, inconsapevolmente, ha sviluppato un algoritmo per cui Napoli = Casino? Probabile. Se A sta a B come B sta a C, A e C sono uguali: se Napoli sta ai napoletani, come i napoletani stanno al caos istituzionalizzato, Napoli e il caos sono la stessa cosa... Ma non è così. Napoli e i napoletani non sono il disordine, la prevaricazione, il caos: li subiscono. Forse, dopo, si adeguano: tirano a campare, come si farebbe a Pordenone, a Vicenza, a Torino, a Roma e a Trapani.
Nel loro DNA ci sarà magari un gene che li spinge ad adeguarsi, per sopravvivere, alle situazioni: secoli di sudditanza e di occupazione straniera non si possono cancellare con un colpo di spugna. Ma hanno anche un antidoto per i soprusi e le violenze di cui sono stati vittima, che altre città hanno sviluppato diversamente: e sono le loro canzoni. Una valvola di sfogo per essere altrove, in un altro posto, lontani. Avvolti in una soffice bambagia di note musicali, che sono carezze e coccole. Anomale, come quelle di Anna e i suoi peperoni: un amore a modo loro.
Ecco perché Napoli ci ha lasciato qualcosa che nessun'altra città italiana è stata in grado di regalarci. Provate a chiedere, a New York (io l'ho fatto!), in un locale in cui si fa musica, di suonarvi una canzone italiana: pensate di poter sentire "Sciuri, sciuri" o "O mia bela Madunina"? oppure "Roma, nun fa' la stupida stasera" o "Se me ghe pensu"? No, vi canteranno, tutti, O' sole mio! Perché quelle parole e quella musica, struggenti e vivifiche allo stesso tempo; piene dell'aspettativa per un giorno migliore (... quanno fa notte / e 'o sole se ne scenne / me vene quase 'na malincunia...) siamo noi, gli italiani; e sono Napoli e i napoletani, amatissima città e amatissima gente.
A loro chiedo scusa per quei pensieri venuti fuori da qualcuno che non ero io. E dato che mi voglio tanto bene, in chiusura mi faccio un regalo. Se vi volete bene, fate come me: ascoltate....