martedì 30 settembre 2008

Enzo Tortora e Clementina Forleo.
Cold Case.

Qualche giorno fa, sull'onda dell'emozione del bel post di Carlo Vulpio sul blog "Uguale per tutti", ho elaborato qualche riflessione su Luigi De Magistris e Clementina Forleo. Un amico, Mad4Murder, affezionato commentatore, mi ha segnalato una notizia che non conoscevo e che vi riassumo: dopo la definitiva assoluzione di Enzo Tortora (Corte d'Appelo di Napoli, 1986) dalla farneticante accusa di associazione a delinquere di stampo camorristico e spaccio di stupefacenti, uno dei suoi accusatori, il pentito Gianni Melluso, rilasciò - nel novembre 1992 - un'intervista al settimanale "Gente" nella quale ribadiva la propria posizione: Tortora era colpevole. Querelato per diffamazione dalle figlie del presentatore, ormai deceduto da 4 anni, venne assolto dal gip, che era Clementina Forleo. Un passaggio della sentenza assolutoria fa, obiettivamente, rabbrividire: pur riconoscendo "l'oggettivo carattere diffamatorio delle dichiarazioni di Melluso", aveva prosciolto il pentito, perchè "la sentenza assolutoria di Tortora rappresentava solo la verità processuale e non anche la verità reale del fatto storicamente verificatosi". Impugnata la decisione avanti la Procura Generale, la famiglia del presentatore perse la causa: il P.G., Elena Paciotti, è d'accordo con la Forleo, perché "... l'assoluzione di Tortora non è conseguente alla ritenuta falsità di Melluso...". (entrambe in CorSera 14 marzo 1995). Elena Paciotti aggiunge: "L'assoluzione di Enzo Tortora con formula piena non è conseguenza della ritenuta falsità delle dichiarazioni di Giovanni Melluso e di altri chiamati in correità, ma della ritenuta inidoneità delle stesse a costruire valida prova di accusa" (Qui).
Provo a tradurre? Enzo Tortora è stato assolto non perché le dichiarazioni di Melluso & C. fossero false, ma perché non erano idonee a valere come prove. Ritraduco esemplificando? Se io fornisco ai Carabinieri una registrazione su nastro (che non ha valore di prova e che ho oltretutto falsificato) con la quale un mio vicino (ma in realtà non è la sua voce, l'ho imitato io...) confessa un omicidio (mai commesso), non potrò essere denunciata per calunnia non tanto perché la prova è un falso, quanto perché il nastro non ha valore di prova: assurdo, no?

Noi abbiamo la disgrazia di vivere in un paese in cui l'ordinamento giuridico è fondato sulla Civil Law, fatta di codici, leggi, articoli e comma, tra i quali - un sofista, un cultore della parola - riuscirà a trovare sempre scappatoie lessicali. Le nazioni il cui ordinamento è fondato invece sulla Common Law (diritto consuetudinario o comune, ma che io interpreto come fondato sul buonsenso comune) hanno poco spazio per acrobazie concettuali. Perché penso su questo si fondi la sentenza di Clementina Forleo: me ne ha dato conferma anche Carlo Vulpio cui, con la faccia di tolla che mi ritrovo, ho scritto e che mi ha risposto così: "... se il giudice fossi stato io, avrei accolto la querela di Silvia, la figlia di Tortora, contro Melluso (che invece è stato assolto, ma non risarcito). Poiché però quel giudice non ero io, ma un'altra persona, cioè la Forleo, quel giudice ha fatto un altro ragionamento, tutto "in punto di diritto", giungendo ad un'altra conclusione. Che io non condivido, che lei non condivide, che sarà una conclusione "eccessivamente rigorosa nell'interpretazione delle norme", ma che non è una conclusione "disonesta". Per me e per lei sarà anche una conclusione sbagliata, ripeto, ma non è disonesta".

Clementina Forleo, ho scoperto, non è nuova a sentenze emesse dopo aver eseguito una sorta di autopsia lessicale del Codice Penale. È sua la sentenza con la quale, a gennaio del 2005, mandò assolti dall'accusa di terrorismo tre islamici, argomentando che la loro attività rientrava in quella della guerriglia (la scelta del link non è casuale...). Anche in quell'occasione il magistrato - con coraggio ed onestà - mise a frutto quella sua speciale predisposizione intellettuale alla semantica applicata al codice. Attirandosi, com'è facile immaginare, le ire funeste della destra e non solo.

E
ancora, nella sua mail, Vulpio aggiunge: "... disonesto è non ricordare con lo stesso zelo, per esempio, l'intervento della Forleo, l'8 luglio 2005 a Milano, nella centralissima via Durini, contro due poliziotti che stavano pestando un extracomunitario che non aveva pagato il biglietto del tram. Una vicenda che invece di candidarla a qualche medaglia al valor civile, le ha procurato non poche "rogne", giudiziarie e non". Ecco quanto accaduto.

Delle ultime iniziative processuali di Clementina Forleo - Unipol-BNL, intercettazioni, D'Alema, Fassino e quant'altro... - credo che si sappia tutto (o quasi): il solo punto fermo è che il pm è stato trasferito.

Torniamo a bomba: Clementina e la sentenza del caso Melluso, non del caso Tortora.
Perché mi ha fatto male? Forse mi aspettavo da lei una sorta di vendetta postuma per quello che un uomo innocente ha dovuto sopportare, e non una assoluzione per i suoi accusatori? È probabile. Ma perché - adesso - tutti rispolverano quell'episodio e puntano il dito contro la Forleo e non contro tanti altri che sulle sensazioni (e non per tabulas) condannarono senza processo Enzo Tortora? Credete forse che, citando Camilla Cederna, giornalista e scrittice che nei tempi bui del terrorismo si schierò più volte a fianco di frange estreme rivoluzionarie, qualcuno rammenti quello ch'ebbe a dire non appena seppe dell'arresto del presentatore?
"Se lo hanno arrestato di notte, qualcosa avrà fatto". O che citando Montanelli - e ora il mio cuore sanguina - rammenti che sì, in prima battuta sospese il giudizio affermando: "Le prove escono da fogne sociali in cui domina la menzogna"; ma che pare abbia anche commentato così la sua assoluzione (ma non ho trovato link...): "Se è vero - ma noi non siamo mai riusciti ad appurarlo - che Tortora è un utente di polverina, può anche darsi che si sia dimenticato di pagare il conto a chi gliela provvedeva. Uno sgarro che basterebbe spiegare fin troppo l'accanimento dei suoi accusatori".

Ma C
lementina non è né la Cederna né Montanelli. È solo un magistrato cui è stato conferito, lo scorso ottobre, il Premio Paolo Borsellino. È un servitore dello Stato che ha pagato - e continua a pagare - sulla propria pelle ogni decisione presa: giusta o discutibile che sia. Nel corso di questa mia ricerca, in cui disperatamente volevo trovare una sorta di assoluzione per la Forleo - perché si ha bisogno di eroi, in questi giorni bui - mi sono imbattuta in un bellissimo commento di Massimo Amodio. E la risposta era lì, semplice, piana, chiara: "...Non ci sono eroi da mitizzare: siamo uomini. Ci sono solo battaglie giuste da combattere. E può darsi che i compagni di strada con cui le combatti oggi ti deludano domani (o ti abbiano già deluso ieri!). Ma quelle battaglie vanno combattute, perchè questo è il criterio...". Sì, questo è il criterio.

P.S.: Per ricostruire l'intera vicenda processuale di Enzo Tortora mi sono avvalsa della ricostruzione fattane - ai primi di settembre scorso - da Antonello Piroso, in uno special dal titolo "Dunque, dove eravamo rimasti?": la frase è di Tortora che così riprese a condurre il suo programma Portobello dopo la spaventosa parentesi giudiziaria. Per chi non abbia visto la trasmissione - drammatica, documentatissima, toccante, semplicemente splendida - fornisco il link dei video, che sono quattro e, complessivamente, durano più di un'ora: dal primo, sarete reindirizzati ai successivi.
Vale la pena visionarli.
Dunque, dove eravamo rimasti, Parte 1a