Era una sorta d'impegno morale preso con nuove amiche: Marina, M. Cristina, Anna. Ma avevo imbrogliato: non l'avrei affrontato, quel discorso. Invece, i servizi giornalistici sulle manifestazioni di ieri contro l'ennesima alzata di scudi per una revisione (restrittiva) della 194, rilevano un dato in comune: poche le giovani donne e le ragazze. E no, allora no. Ha detto bene M. Cristina: chi ha qualche anno meno di me e di Anna, lo dà per acquisito quel diritto, e non sa cosa e come era il "prima". Allora no. Coraggio...
Apro uno scatolone di vecchie foto ingiallite, di rametti di mimosa che sembrano carta, di biglietti del cinema stropicciati, quasi fattisi polvere. Dagli scatti di un tempo torna a sorridermi la mamma, che se n'è andata - in un groviglio di lamiere d'automobile sul vecchio incrocio tra la Cristoforo Colombo e il raccordo anulare - una domenica pomeriggio d'estate: non l'avevo neanche salutata. Le tenevo il broncio, come solo le ragazzine di 17 anni sanno fare, perché mi aveva sorpreso a fumare una sigaretta e mi aveva messo in punizione. Non l'ho più rivista. Trovo cose mie e non mie: o "forse" mie, dimenticate, rimosse, tanto ancora bruciano l'anima. Un vecchio quaderno: era mio? La copertina nera e lucida, con una trama quasi a rilievo al tatto, e con il bordo di taglio delle pagine colorato di rosso sangue. Ma chi comprava quaderni del genere? Non io! E la grafìa... troppo tonda e pulita, leggibile, ordinata sulle righe ed entro i margini... Non sono cose mie: scrivo male e disordinatamente, ora la scrittura scivola in giù anche sulle righe. O sarà che non sono più abituata? No, non sono cose mie. Leggo. E vi racconto una storia.
"Aveva poco più che vent'anni, X, quando allora si diventava maggiorenni a 21: ma si sentiva grande, donna-bambina emancipata, moderna. Era al suo primo lavoro, e con quello si manteneva all'università. Era brava. Una stakanovista: il capo glielo diceva sempre... Le faceva un sacco di complimenti, per come affontava gli impegni, per come non si lamentava di lavorare in nero (o forse questo modo di dire allora non si usava?). Di come non le pesasse fare tardi in ufficio... E in ufficio l'ha violentata. Denunciarlo? Non si facevano queste cose, allora. Era la vergogna, perché - comunque - se l'aveva fatto, la colpa era sua, di X! Sempre con quelle minigonne! Se l'era cercata, giusto? E dopo qualche settimana, lo sgomento: le mestruazioni non arrivano. E sì, X è incinta. Ma il problema non si pone: il capo le mette in mano - quanto - centomila lire? e le dà un indirizzo sicuro. A bordo della sua 500 blu, lo stradario della città (ma esisteva già?) aperto sul sedile del passeggero, un pomeriggio di novembre si avvia, le mani sudate aggrappate al volante e rattrappite per la paura, da sola. Il posto è dall'altra parte della città. Non è l'indirizzo di un medico: è quello di una brava signora. I medici erano per le mogli o per le fidanzate, non certo per una donna-bambina violentata.
Una periferia che sa di campagna desolata. Le case basse, una accanto all'altra, dai colori sporchi e sbiaditi, i muri sbreccati che mostrano le strutture di sostegno. Quasi fossero scheletri. C'è una specie di orto, davanti alla casa, ed una millecento grigia parcheggiata sul prato. Prato? Non c'è più quasi erba: solo terra. La brava signora viene ad aprire, e fa accomodare X in salotto. C'è un divano di velluto celeste pretenzioso, pieno di centrini fatti all'uncinetto là dove si poggia la testa: sono sporchi. Anche il linoleum sul pavimento, che forse era rosso, è sporco. E poi è buio: le persiane sono accostate e il lampadario a gocce ha solo 2 lampadine accese sui 6 bracci. Fa freddo. La brava signora accompagna X in camera da letto. Il copriletto di cretonne a fiori è sudicio e c'è odore di sudore. E di qualcosa d'altro. Togli le scarpe. Togli le calze. Togli gli slip. Sdraiati. Allarga le gambe. Non avere paura. Ma c'è la paura. Ecco cos'è quell'odore: è l'odore della paura. Cos'è quello? Un ferro da calza argentato, quello con cui le nonne e le mamme facevano i maglioni con le trecce, ed il bordo a cannolè... La brava signora infila il ferro da calza in un lungo tubicino di gomma, come fosse una guàina. E il tutto poi scompare... Ma cosa fa? Me lo infila dentro? Il ferro dei maglioni e delle sciarpe colorate? E poi sfila il ferro dal tubo. E lo rifà ancora. E ancora... Tutto finito, dice la brava signora, puoi rivestirti. Ancora in macchina. Un'altra periferia, quella di casa.
X è a casa. Casa. Papà è in poltrona e guarda la tele. E quando succede? La stessa sera? Due sere dopo? Le memorie si smarriscono, come le vecchie chiavi. O ti abbandonano per non farti del male. Non sulla tazza, devi controllare, ha detto la brava signora. Sul bidet. Ed è lì, nel bidet, in preda a dolori insopportabili che sono durati 4 ore, che X abortisce. Controlla, ha detto la brava signora: c'è una cosa strana, sembra il cuore di una mucca. Ma non l'ha mai visto, il cuore di una mucca! Una cosa bavosa, sanguinolenta. Di sangue scuro, quasi marrone. Controlla. Avvolge la cosa nella carta in una busta di plastica e la nasconde in camera sua. Finito. Papà è ancora sulla poltrona e guarda la tele: non si è accorto di niente. Il giorno dopo, ancora dalla brava signora che deve controllare: prende l'involto, scompare per qualche secondo oltre la porta della cucina. Finito, dice. Ora prendi le gocce, che è finito. No, non è finito. Dopo due giorni X si sveglia con una cosa appiccicaticcia tra le gambe. Cos'è? Ma è sangue!! Da sola, con la 500 blu, di corsa all'ospedale: non ha espulso tutto. Raschiamento, con anestesia locale, per cui li senti i medici che ti dicono puttana, ben ti sta. Ma sono stata violentata, vorrebbe gridare X! Cosa potevo fare, urla silenziosa la donna-bambina! Ma non ce la fa... Ora è finito. Domani sarebbe andata al mare con Bongo, il suo cagnone meticcio. Ora è finito..."
Ma non finisce. Non finisce mai. Le brave signore sono ancora una volta dietro l'angolo: come allora, puzzano di sudore ed hanno in mano un ferro da calza. Quello dei maglioni con le trecce e il cannolè, e le sciarpe colorate...
12 commenti:
Credimi, se avessi potuto, sarei andato a manifestare insieme a quelle donne per difendere la 194. La difendo perchè è una buona legge, ma la difendo dal clero e dai falsi cattolici che ci governano.
grazie, adesso non ho più dubbi.
si parla sempre di morte e di una vita stroncata per chi nasce ,ma il prima non c'è quasi mai ,si pensa sempre che sia per superficialità ,per voglia di farlo e di non prendersi le responsabilità che toccano.
mai si pensa a chi non ha mai voluto o non voleva che fosse così.
Grazie a voi, Max e Andrea: sono felice che i miei visitatori siano due giovani, e due uomini. Sarebbe stato facile condividere con altre donne la tragedia ante 194. Meno con rappresentanti dell'altro sesso, troppo spesso tenuti fuori da un problema che, tranne in casi eccezionali, è "a due".
Una domanda a Max: la tua ultima chiosa ("... ma la difendo dal clero..." con quel che segue) significa che la difendi solo "dal" clero, e che non la difendi "per" le donne? Non è polemica, credimi: forse non ho capito io... E a te, Andrea, un grazie a "tutto tondo".
Infatti ho detto che sarei andato insieme alle donne per difendere la 194. Solo che in questi ultimi tempi sta ricevendo attacchi beceri da parte del clero e dai falsi cattolici, quindi lo avrei fatto anche per difenderla da questi attacchi ;)
per Max: ovviamente, un mio fraintendimento... Thanks.
Ciao, ho letto solo ora il tuo post e ti ringrazio. Ti ringrazio per aver parlato di me sul tuo blog, per aver linkato il mio post. ti ringrazio perchè questo vuol dire che ti è piaciuto ciò che ho scritto e questo, dopo aver letto il tuo post mi ha fatto ancora più piacere. La mia era solo un'analisi, nel tuo post c'è molto di più e credo che per te sia stato molto più difficile ed è per questo che ti ringrazio ancor di più, per aver trovato la forza di raccontare qualcosa che sa molto di vita vera e purtroppo di vero e troppo dolore.
Vorrei linkare il tuo post, ti farebbe piacere? Credo che questa storia andrebbe raccontata il più possibile. Ovviamente soltanto se vuoi?
Ciao, Cristina e grazie per la risposta e l'apprezzamento.
Ho raccontato quella storia perché ritengo doveroso che anche il "prima" vada conosciuto il più possibile, e un link al mio post dal tuo blog sarebbe perfettamente in linea con il mio intento, e accolgo con piacere la tua richiesta. Me lo ha anche confermato il commento di Andrea, 31 anni, che - giustamente - ha rilevato come si parli sempre del dopo, e mai come a quel dopo sia giunto "chi non ha mai voluto o non voleva che fosse così". Ancora grazie.
Cara cara bastian cuntrari, il tuo racconto mi stringe il cuore. Voglio ringraziarti e se me lo permetti, abbracciarti.
Ci sono cose che è molto difficile raccontare, in qualunque forma. Tu sei una donna coraggiosa.
SE vivi a Roma l'8 marzo ci incontreremo.
ciao marina
e grazie di essere passata sul mio blog
Grazie Marina...
E no, non credo di essere molto coraggiosa. O forse lo sono quanto chi - malato di cancro - racconta la propria storia. Chissà che non sia solo un modo di esorcizzare la sofferenza ed il male che li consuma.
Quasi che, mettendo nero su bianco il "racconto" del male, questo si allontani da te, e non sia più tuo.
O "solo" tuo... Ricambio forte forte l'abbraccio, e per l'8 marzo, ci aggiorniamo.
agghiacciante!
mi ha fatto impressione e messo una tristezza che non immagini.
al solo pensiero di tutte le giovani X che ci sono passate.
Ciao Max, e grazie per il commento.
E spero di non averti rovinato lo splendido fine settimana... L'ho visto, sai!
Mat, scusami! Oggi sono dislessica anche con i tasti (qui sta cambiando il tempo..)e ti ho chiamato "Max"...
Sarà stata l'invidia per il tuo bagno in piscina!
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