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mercoledì 4 giugno 2008

Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io

A volte càpita che una commento o una frase, buttàti lì per caso, creino un guazzabuglio di pensieri scombinati, legati ma slegati, che iniziano come un rivolo a scorrere nel cervello, per diventare poi un torrente in piena. Pensi che metterli per iscritto faccia ordine nella mente, ma non sempre è così.
Motivo per il quale questo post, temo, sarà confuso e disordinato.
Ma tant'è, ci provo.


Ieri, la figlia di mia cugina riferiva di un'osservazione su una sua ricerca scolastica: "...no, perché Paola ha detto che era troppo corta...". Effettivamente, tre quarti di pagina scarsi per commentare vita e opere di Leopardi sembravano pochini anche a me: "Be', mi sembra che la tua compagna abbia ragione".
"Ma che compagna, zia! È la prof!"
Paola? La prof? Ho scoperto così, che sin dalle elementari, è invalso l'uso del "tu" con il quale rivolgersi agli insegnanti.
E il rivolo mentale comincia a scorrere...

Perché il "tu"?
Perché chiamarli per nome? Per me, dalle elementari al liceo, per non parlare dell'università, il professore di storia era (invento) "Bianchi". La professoressa di italiano e latino era "la Rossi": chissà perché, poi, con tanto di articolo davanti al cognome. E non parliamo del fatto che, all'ingresso in aula del professore, ci si alzasse in piedi. Che questa faccenda del "tu" abbia qualcosa a che vedere con gli episodi di violenza di cui le nostre scuole sembrano diventate le palestre preferite?

Credo che dare del "lei" - in tutti i rapporti sociali - non sia solo una questione di rispetto e di educazione, ma anche un modo, formale quanto volete, di mantenere distanze che, in qualche caso (come a scuola), mi sembrano non solo necessarie, ma assolutamente imprescindibili. Non è freddezza, ma specifica dei reciproci ruoli: ho trovato un blog, Scuola Violenta, che dà la misura dell'abiezione cui i ragazzi sono arrivati. Mi appare, a questo punto, un'idea per nulla peregrina quella di Sarkozy che ha deciso di reintrodurre il "voi" (che è il nostro "lei") nelle scuole francesi.

Questa filosofia da "branco", questo desiderio di essere parte integrante di un "mucchio" (non necessariamente selvaggio) senza diversificazione di ruoli e funzioni, sembra un segno dei tempi: il ruscello sta diventando torrente...
C'erano orari precisi nei quali non potevo rivolgere la parola a mia suocera per non distrarla dai suoi programmi preferiti: era quando stava per andare in onda "Maria", o quando si apprestava a seguire "Rita". Maria è la De Filippi; e Rita è Rita Dalla Chiesa. E lei, pensionata ottantenne, con quel chiamarle per nome, si sentiva, probabilmente, vicina ad un mondo lontano anni luce dal suo. Dovrei chiederle scusa: ha inconsapevolmente applicato un trend pubblicitario che va, lo scopro adesso, per la maggiore. Su Sky sta andando in onda, in questi giorni, uno spot che annuncia una prossima trasmissione: "Idee in Progress: 90 giorni con Lapo". Elkann, naturalmente. Viene definito "l'uomo-squadra", colui che ha dato vita alla "Creative Factory". Si parla di "Lapo e il team".
Il team. Il branco. Lapo. Cui prodest?

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