Sabato scorso il Sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha duramente stigmatizzato su FB l'affronto vergognoso alla Sinagoga, che è "un’offesa per la comunità ebraica e per Roma": sacrosanto. Seguono i commenti. Uno di quelli che ha ottenuto più "mi piace" è questo:
Non sono romana ma di Genova (come Marino), però vivo a Roma da quando avevo 10 anni. Vero che qualche segno di non-romanità ce l'ho ancora, soprattutto nel parlare: le "e" strette in primis, per cui per me "la pesca" (quella che si fa per catturare i pesci) la pronuncio allo stesso modo anche quando cito il frutto. Ma insomma, non mi sembra un peccato mortale!
Ma tant'è... C'è in molti romani questo anacronistico orgoglio di "supremazia razziale", di orgoglio del "cives romanus sum" che è veramente irritante. E lo trovo anche in persone di cultura! Qualche anno fa ad Ostia (che contrariamente a quanto molti pensano non è un Comune di Roma, ma un quartiere di Roma) venne proposto un referendum per fare di Ostia comune a sè. Parecchio ragionevole, visto che Ostia (che è sul litorale) ha una "vocazione marinara", completamente diversa dalla "vocazione continentale" di tutto il resto della città. Il referendum non è passato perché molti votanti dei quartieri periferici, ma non sul mare, non potevano neppure lontanamente immaginare di non essere più "romani" ma (horribile dictu!) "ostiensi".
Tornando a bomba, il fine commentatore di cui sopra non si accorge della contraddizione del suo asserto: Roma è "città aperta", ma chi non è romano che se ne torni al paesello! E poi, 'sta palla delle "sette generazioni"! Che io sappia, nessuna altra città italiana ha un senso così miope e ottuso dell'origine della specie...
Amo Roma (q.b.), ma certi "romani de Roma da sette generazzioni" (lo dicono con la doppia "z") mi stanno proprio sul cazzo: tanto per parlare chiaro.